Passkey: la novità che potrebbe sostituire le password

Le password sono il modo attraverso il quale cerchiamo di impedire l’accesso e l’utilizzo ai nostri dati e risorse informatiche a soggetti non autorizzati. In molti casi però risultano deboli e facilmente individuabili. Questo è dato dal fatto che esistono numerosissimi account che richiedono l’utilizzo di una password così gli utenti preferiscono utilizzare codici alfanumerici facili da ricordare e, spesso, ricadono sulla scelta di utilizzare la stessa combinazione per diversi account, uno dei comportamenti più sconsigliati quando si parla di sicurezza informatica.

Una soluzione che ci permette di ricordare tutte le password dei nostri account, inserendole per noi quando necessario, è l’archiviazione online. Questo però non ci protegge da possibili fughe: se il servizio di password manager (come ad esempio icloud keychain) al quale ci affidiamo viene violato lo saranno anche le password di tutti gli utenti che ne fanno uso.

Molto più efficace risulta essere l’identificazione a due fattori nel quale si inserisce una password e poi un codice otp (one-time password, una password che potremmo definire usa e getta) inviata per sms o mail. Il problema di questo tipo di identificazione è la scomodità della procedura, che viene resa molto più macchinosa, e il persistere del rischio di esposizione ad attacchi di tipo phishing (truffe attraverso le quali un malintenzionato cerca di ingannare la vittima convincendola a fornire informazioni personali, dati finanziari o codici di accesso, fingendosi un ente affidabile in una comunicazione digitale).

Le passkey

Negli ultimi anni alcune ricerche in campo informatico si sono concentrate nel trovare un’alternativa valida all’utilizzo delle password, lavorando alla progettazione di nuovi sistemi di accesso, autenticazione o gestione delle password.

Il 5 maggio 2022, in concomitanza con la giornata mondiale delle password – iniziativa avviata dall’azienda intel nel 2013 per promuovere maggiore consapevolezza sul tema della sicurezza informatica – Apple, insieme a Google e Microsoft, hanno annunciato l’impegno ad accelerare il lavoro per implementare e rendere disponibile sui dispositivi uno standard di autenticazione senza password chiamato FIDO. Ad un anno da questo annuncio vediamo questo sistema farsi spazio.

Il nome deriva da Fast Identity Online Alliance, l’associazione internazionale di aziende che hanno lavorato allo sviluppo dello standard nel corso degli ultimi anni e che ha introdotto un protocollo di autenticazione in grado di sostituire le password come forma di identificazione dominante su internet, chiamato passkey.

Le passkey sono composte da una coppia di chiavi, una pubblica, registrata nel sito web o nell’app alla quale vogliamo accedere e condivisa tra i dispositivi che dispongono delle proprie chiavi private, e una privata, presente soltanto sul nostro dispositivo.

La chiave pubblica non ha nessun valore senza quella privata e non è accessibile a nessuno, neanche all’utente, che quindi non può condividerla.

Questo garantisce che seppure in caso di compromissione del server chi lo attacca non avrà a disposizione entrambe le chiavi per ottenere l’accesso agli account.

In un certo senso non si allontana molto dal metodo di identificazione a due fattori nominato poco fa.

Con il sistema delle passkey, quando accediamo a un servizio online, non sarà quindi più necessario digitare il nome utente e la password, ad autorizzare l’accesso ai diversi account saranno i meccanismi di sblocco presenti sui dispositivi di proprietà dell’utente, in particolare dello smartphone, basati per lo più sul riconoscimento biometrico di caratteristiche individuali come l’impronta digitale, la fisionomia del volto o il pin, trasformando lo stesso smatphone in dispositivo di autenticazione.

Il servizio comunque non è limitato al dispositivo, si possono utilizzare le passkey anche su pc e tablet, e apparecchi terzi grazie ai codici QR da scansionare con il nostro smartphone.

Tra le caratteristiche delle passkey possiamo evidenziare:

  • Una protezione efficace;
  • Non devono essere create, salvate o ricordate. Il salvataggio avviene automaticamente sul portachiavi icloud per i dispositivi apple (e automaticamente disponibili su tutti i dispositivi che hanno l’accesso con lo stesso idapple) e su google password manager per android e chrome;
  • Sono protette dalla crittografia end-to-end;

Iniziare ad utilizzare le passkey

Per iniziare ad utilizzare questo nuovo sistema di accesso dobbiamo assicurarci che il sito web o l’app abbia già implementato le passkey come modalità di accesso alternativa alla password.

Alcuni siti ci permetteranno in automatico l’accesso tramite le passkey, per altri dovremmo abilitare il sistema tramite le impostazioni.

Una volta abilitata una passkey questa sarà visualizzata nella compilazione automatica quando accederemo a quell’app o sito.

Tutti parlano di ChatGPT: cos’è e come funziona?

Da diversi mesi tutti parlano ed utilizzano ChatGPT, ma che cos’è e come funziona? ChatGPT, acronimo di Generative Pretrained Trasformer, è un chatbot, ovvero un software progettato per fornire risposte, informazioni e assistenza all’utente in chat attraverso un linguaggio che potremmo definire naturale, colloquiale. Quest’ultima caratteristica è ciò che lo differenzia dagli altri chatbot.

Alla base del funzionamento di ChatGPT c’è l’intelligenza artificiale, non a caso si tratta di una creazione di OpenAi, organizzazione dedicata alla ricerca e lo sviluppo di quest’ultima.

Il modello è stato addestrato utilizzando una grande quantità e varietà di testi (tra cui articoli di giornale, libri, documenti, contenuti web…) e perfezionato attraverso:

  • un processo di apprendimento supervisionato che prevedeva degli istruttori impegnati nella simulazione di conversazioni interpretando entrambe le parti, l’utente e il chatbot;
  • un processo di apprendimento per rinforzo che incoraggiava le azioni corrette permettendo al sistema di perfezionarsi.

Il database su cui è stato addestrato il sistema è fermo al 2021 e non ha accesso a internet per trovare informazioni aggiornate ma continua a migliorare la sua capacità di interazione grazie agli scambi con gli utenti.

Come si può provare ChatGPT?

Per utilizzare ChatGPT basta collegarsi al sito web ufficiale del servizio e creare il proprio account. Il software è gratuito nel suo piano base ma è anche previsto un piano a pagamento che, per un costo di 20€ mensili, garantisce dei vantaggi tra cui l’accesso al tool anche quando la domanda è alta, l’utilizzo anticipato di nuove funzioni e risposte più rapide.

Compilati i campi ci ritroviamo davanti la nostra chat e potremmo procedere digitando la nostra richiesta nello spazio predisposto nella parte inferiore della pagina. Nel caso di richieste semplici la risposta dell’algoritmo è immediata, mentre per richieste più articolate bisognerà attendere qualche minuto.

Quali sono le applicazioni pratiche?

ChatGPT è molto utile per avere informazioni in modo diretto, ancora di più rispetto a un motore di ricerca, ma l’approccio aperto che lo caratterizza e che gli consente di fornire risposte sempre nuove all’input dell’utente lo rendono particolarmente adatto nei casi di richieste con un alto grado di originalità o creatività. Alcune delle applicazioni più comuni sono:

  •  Scrittura creativa, con la generazione di testi, applicabile per la descrizione di prodotti, per la creazione di articoli di giornale, post per i social, email, report, etc;
  • Assistenza automatizzata, l’algoritmo è in grado di generare risposte automatiche perfette per fornire assistenza (pensiamo ai servizi clienti o agli assistenti personali virtuali);
  • Riepilogo automatico, la capacità di apprendimento e comprensione del testo fa si che sia in grado di riassumere lunghi documenti o testi;
  • Traduzione automatica, da un testo di partenza a molteplici lingue;
  • Generazione di codice in diversi linguaggi di programmazione.

ChatGPT bloccato in Italia

Lo scorso 20 marzo ChatGPT è stato oggetto di una perdita di dati riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati al servizio. Questo ha fatto si che si accendessero i riflettori sulla gestione di questi stessi dati.

Il garante della protezione dei dati personali ha disposto una limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti della società che gestisce la piattaforma, sottolineando la mancanza di un’informativa agli utenti sulla raccolta e conservazione dei dati allo scopo di addestrare gli algoritmi alla base funzionamento della piattaforma e l’assenza di filtri per la verifica dell’età degli utenti (il servizio è rivolto ai maggiori di 13 anni e si rischia di esporre i minori a risposte non idonee al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza).

In risposta, la società ha sospeso ChatGPT in Italia annunciando successivamente un’importante modifica che riguarda la possibilità di disattivare la cronologia delle chat tramite le impostazioni. Nel caso in cui questo avvenga le conversazioni non saranno utilizzate per addestrare e migliorare il modello alla base del software.

“Quando la cronologia della chat è disabilitata – si legge sul comunicato dell’azienda di San Francisco – conserveremo le nuove conversazioni per 30 giorni e le esamineremo solo quando necessario per monitorare eventuali abusi, prima di eliminarle definitivamente”.

Sino a oggi gli utenti potevano chiedere la cancellazione della cronologia delle chat, ma le conversazioni restavano a disposizione di OpenAI per il miglioramento della sua tecnologia.

Perché alcuni governi stanno vietando TikTok ai dipendenti pubblici?

Negli ultimi mesi diversi governi hanno posto dei limiti, più o meno stringenti, sull’utilizzo di TikTok ai dipendenti governatavi, richiedendo la cancellazione dell’app dai dispositivi che vengono utilizzati, oltre che nella vita privata, anche per il lavoro. Alla base di questa decisione c’è la preoccupazione rispetto al trattamento dei dati degli utenti da parte di ByteDance, la casa madre del social.

L’algoritmo di TikTok è noto per la sua capacità di raccogliere enormi quantità di dati al fine di profilare gli utenti e proporre contenuti che si avvicinino il più possibile ai loro interessi. Questa mole di dati sensibili sono considerati a rischio di fuga.

Già a maggio del 2020 il Comitato per gli investimenti esteri degli Stati Uniti (un’agenzia di sicurezza nazionale) aveva chiesto azioni governative per indurre ByteDance a vendere TikTok in via precauzionale.

Perché preoccuparsi di TikTok e non di tutti i social?

La maggioranza dei siti e applicazioni utilizzate negli ultimi quindici anni appartengono ad aziende statunitensi che hanno dimostrato di essere, loro stesse, poco attente alle politiche di trattamento dei dati personali degli utenti. La differenza tra queste e TikTok sta nello stretto rapporto tra le aziende cinesi e il governo. Per capire meglio facciamo riferimento a una legge del 2017 che obbliga i cittadini e le organizzazioni cinesi a “sostenere, assistere e cooperare” con il servizio di intelligence nazionale.

Di fatto, quindi, le società cinesi possono essere costrette, se richiesto, a consegnare dati al governo centrale.

Considerando la crescente affermazione dell’economia e dell’influenza politica cinese nel mondo, i governi e le istituzioni occidentali stanno intervenendo, timorosi che l’app possa essere usata per commettere abusi ed atti di spionaggio.

TikTok ha cercato di rispondere alle accuse difendo la sua indipendenza dal governo ma questo non è bastato a fermare i divieti, sostenuti dalle numerose indagini compiute nel corso degli anni sul social cinese.

Tra queste indagini possiamo nominare quella della Commissione irlandese per la protezione dei dati che ha indagato sul trasferimento dei dati di TikTok e sulla conformità alle leggi sulla privacy dell’Unione Europea già a settembre del 2021.

Successivamente, alla fine del 2022 il Dipartimento di giustizia americano ha aperto una sua indagine sul presunto spionaggio di due giornalisti americani. La società cinese ha ammesso che l’intrusione negli account sarebbe avvenuta allo scopo di individuare chi fosse stato a fornire ai media informazioni interne alla compagnia.

Un effetto domino

L’indagine ha portato il Congresso degli Stati Uniti a bandire TikTok dai dispositivi di 4 milioni di dipendenti del governo federale, con eccezione per le forze dell’ordine e per chi svolge ricerche nel settore della sicurezza informatica. Il divieto ha compreso i dipendenti della casa bianca, istituzioni, università e aziende.

Gli stati uniti hanno dato il via ad un vero e proprio effetto domino che ha convolto, in ordine Olanda, Commissione europea, Canada, Gran Bretagna e Australia, che hanno sospeso l’uso di TikTok almeno fino a quando la piattaforma non adeguerà la sua politica di protezione dei dati.

Non è la prima volta che TikTok si trova a dover far fronte a dei divieti. Già a giugno 2020 l’India lo vietò in tutto il paese insieme a una decina di altre applicazioni sviluppate in Cina per questioni di privacy e sicurezza.

A giustificare invece i divieti imposti all’app dall’Afghanistan, Pakistan, Iran, Bangladesh, Indonesia, Armenia e Azerbaijan ci sarebbero ragioni legate alla diffusione di contenuti non graditi al governo, definiti immorali e corruttivi per l’integrità dei giovani.

Dobbiamo porci lo stesso problema come utenti comuni?

Al momento i divieti riguardano dei sospetti: se ci fosse l’effettiva certezza che TikTok venga utilizzata come un’app spia questa sarebbe già stata esclusa dagli store. È bene prevenire la fuga di dati degli enti pubblici, infatti esistono altre policy dello stesso tipo, ma al momento non c’è pericolo per tutti gli utenti.

Teniamo comunque a mente che l’app registra la localizzazione, la cronologia, il contenuto dei messaggi chat, i video che vengono visualizzati e per quanto tempo e, attraverso i cookie, anche le nostre attività exta social. Tutte queste informazioni sono allo stesso modo registrate da altre piattaforme come Facebook, Instagram, Youtube etc.

Come creare una bio efficace per il tuo profilo aziendale

La prima sezione a catturare l’attenzione dell’utente che si trova sul tuo profilo aziendale è la biografia. Se il nostro intento è quello di trasformare semplici visitatori in followers è necessario che questa sia chiara e interessante.

Un metodo efficace per scrivere una bio ottimale è quello di strutturarla su tre righe:

Nella prima riga dobbiamo far capire chi siamo e di cosa ci occupiamo;

Nella seconda riga possiamo procedere esprimendo un valore che offriamo o una capacità che mettiamo a disposizione del pubblico;

Infine, nella terza riga, possiamo aggiungere quella che in gergo viene definita call to action, l’invito all’azione. Molto spesso si tratta dell’invito a cliccare su un link che reindirizza verso il sito web o altri portali social, oppure un esplicito invito a seguire la pagina formulato in modo da incuriosire l’utente sui contenuti.

Se abbiamo creato un account Business su Instagram la piattaforma ci permette di impostare dei veri e propri pulsanti call to action che invitano l’utente a chiamarci, contattarci tramite l’indirizzo di posta, aprire la navigazione su maps con l’indirizzo preimpostato.

Restando su Instagram notiamo come il social permetta di aggiungere un solo link in bio. È possibile aggirare questo vincolo attraverso l’utilizzo di link aggregatori che tengono inoltre traccia del numero di click e azioni avvenute. Per creare link aggregatori possiamo avvalerci di diversi tools online come linktree, lnk.bio, campsite.bio.

Subito sotto la bio, Instagram dedica poi spazio alle storie in evidenza che, se utilizzate correttamente, possono diventare un prolungamento della nostra biografia, un’opportunità di raccontarci tramite un diverso formato, ad esempio scegliendo riprese di momenti salienti dell’attività o mostrando particolari di prodotti e servizi che si offrono. Un video, anche se breve, ha un grande impatto comunicativo.

Non dimentichiamo di curare con la stessa attenzione gli altri dettagli che compongono la struttura del nostro profilo e che influiscono sulla presentazione dello stesso, come:

  • Foto profilo. Nel caso di un profilo aziendale sarebbe più adeguato l’utilizzo del logo o di altri simboli che possano identificare l’attività, redendola riconoscibile durante le conversazioni, i commenti su altre pagine e le stories. L’utilizzo di foto generiche rende il profilo anonimo, soprattutto se teniamo conto delle dimensioni ridotte delle immagini.
  • Nome. L’ideale sarebbe utilizzare lo stesso nome sia per la pagina che come username, o nomi coerenti tra di loro, che rendano il profilo facile da ricercare. Potrebbe essere utile includere nel nome il tipo di attività.
  • La corretta categoria di appartenenza. I profili aziendali danno la possibilità di inserire la categoria di appartenenza scegliendo direttamente tra una lista.

Metaverso: cos’è e quali sono le potenzialità?

Il metaverso, o forse dovremmo dire i metaversi visto che ne esistono tanti e da tanti anni, sono mondi vituali collegati al nostro e tra di loro, all’interno dei quali l’utente, sotto forma di avatar (una rappresentazione digitale di sé) partecipa a diverse esperienze, sia collettive che individuali.

Il concetto di metaverso è stato coniato dallo scrittore statunitense Neal Stephenson nel suo romanzo di fantascienza Snow Crash, nel 1992. Il metaverso viene descritto come una realtà virtuale, generata e condivisa su una rete mondiale in fibra ottica, in cui le persone si rifugiano per sfuggire al mondo reale in rovina. Gli avatar, che rappresentano gli utenti in questa realtà parallela, evolvono nel tempo e in base a questa evoluzione hanno la possibilità di accedere a eventi esclusivi e scalare delle vere e proprie classi sociali.

Questo stesso concetto è stato negli anni ripreso in molti romanzi, film e videogiochi, che ci permettono di avere delle raffigurazioni più o meno chiare, anzi, la vicinanza al mondo dei videogiochi ci permette di affermare che potenzialmente abbiamo tutti già fatto esperienza di un metaverso se abbiamo, almeno una volta nella vita, giocato a giochi come Second life, Minecraft o The Sims.

Lo stesso esempio ci da una panoramica dell’evoluzione del metaverso: in origine i videogiochi si svolgevano su uno schermo e avevano come obiettivo quello di battere un nemico, col tempo sono diventati piattaforme social e l’obiettivo si è spostato sul battere altri giocatori che si incontrano o anche semplicemente interagire.

A cambiare, con il tempo, è la raffinatezza di questi metaversi, che grazie all’evoluzione tecnologica permettono di creare esperienze sempre più immersive. Al momento l’esperienza più completa si vive attraverso dei visori ma esistono dei prototipi di tute che simulano nel mondo reale le sensazioni che si sentirebbero nel metaverso.

Il metaverso incontra Facebook

L’interesse sull’argomento è aumentato notevolmente dopo l’annuncio di Zuckerberg, dell’ottobre scorso, riguardo il cambio di nome della sua società in Meta.

Facebook aveva iniziato a porre le basi del suo metaverso già 2019 con il lancio di Facebook Horizon.

Nella presentazione Zuckerberg ha descritto la sua visione del futuro:

«Nel metaverso Facebook, si potrà fare quasi tutto l’immaginabile: vedersi con gli amici e la famiglia, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare, ma anche fare esperienze completamente nuove e non compatibili con il modo in cui oggi pensiamo a computer o cellulari».

Le parole di Zuckerberg hanno suscitato pareri contrastanti, inclusa l’impressione che il tipo di ambiente virtuale da lui descritto sia al momento una riproposizione di modelli dei videogiochi che abbiamo nominato poco fa, resi semplicemente più coinvolgenti e attuali dall’integrazione delle nuove tecnologie che restano ancora scarsamente diffuse e migliorabili.

Le applicazioni del metaverso

A riscuotere maggior successo sono stati eventi e esperienze digitali immersive organizzate da alcuni brand e aziende che hanno sfruttato questa opportunità per offrire presentazioni di prodotti in anteprima, shopping, viaggi virtuali e molto altro.

Un caso emblematico è quello di Nikeland, il mondo virtuale della Nike, che permette agli avatar di entrare in showroom digitali, un’esperienza che supera il mondo fisico nel quale bisognerebbe spostarsi verso il negozio ma anche l’ecommerce tradizionale dando all’utente la possibilità di indossare i capi.

Un altro progetto, tutto italiano, è Coderblock, nato con l’ambizione di offrire alle aziende veri e propri uffici virtuali per il lavoro da remoto, con la possibilità di creare convegni e fiere nelle quali vendere arte digitale, prodotti, servizi o semplicemente far conoscere il proprio marchio.

Per entrare nell’ottica del metaverso dobbiamo quindi immaginare la nostra routine quotidiana e declinarla in formato virtuale: riunioni, incontri, pranzi, sport, fitness, film, fiere, videogiochi, shopping, tutte attività che saranno convertite e rese disponibili nel nuovo ambiente.

Oggi il metaverso esiste in una forma che potremmo definire depotenziata visto che i metaversi in mercato sono singole opzioni che non dialogano tra loro, perdendo di fatto quel concetto di universalità che sta alla base del metaverso. Per capire meglio possiamo fare un paragone con internet: è come se ogni sito web fosse accessibile con un proprio software senza una rete unica che ci permetta di passare da un indirizzo ad un altro.

Controversie del metaverso

Anche se si tratta di una tecnologia ancora non totalmente sviluppata sono già emerse delle controversie legate al suo funzionamento.

La prima tra tutte è la questione legata alla sicurezza degli utenti. Internet e i social media si sono rivelati strumenti incredibili per mettere in contatto le persone e dare accesso a informazioni illimitate, ma hanno anche portato a diverse forme di dipendenza. Ci so domanda quindi come queste possano tramutare considerando la natura immersiva del multiverso.

La seconda problematica è legata alla privacy degli utenti. I dispositivi che dovrebbero permetterci di frequentare questi mondi sono indossabili perciò le aziende produttrici potrebbero raccogliere dati biometrici degli utenti che si andrebbero ad aggiungere ai dati sensibili che già sono raccolti dal web.

Ci si domanda infine chi gestirà il metaverso, che tipo di leggi si rispetteranno? Visto che si parla di trasposizione della realtà nel digitale cosa succederebbe se un avatar assalisse un altro? Si applicherebbero leggi penali? Come funzionerebbe la gestione dei crimini? Oggi è relativamente semplice per minacce verbali, insulti e diffamazione perseguibili in rete ma il discorso cambia per i crimini legati alla sfera “fisica” e non punibili senza una prova tangibile della violenza come potrebbe accadere nei mondi virtuali.

Strategie di social media marketing

Il social media marketing è quella branca del marketing che si occupa di generare visibilità e interazioni sui social per imprese e attività. Attraverso i social media queste aziende trasmettono dei messaggi e valori, fidelizzano i clienti o ne raggiungono di nuovi.

La pubblicità offline “gira” indipendentemente dalla nostra volontà, pensiamo a quella sui media tradizionali (come la televisione o la radio) o sui cartelloni pubblicitari. Nel web, invece, la visibilità è dettata dagli algoritmi che utilizzano l’engagement per capire se il contenuto può interessare o meno altri utenti e a quali. Quest’engagement è dato dalle interazioni degli utenti. È fondamentale quindi creare contenuti che attraggano l’utente, incitandolo a compiere un’azione (mettere like, commentare, condividere, cliccare su link esterni ecc.) e per questo necessario avere una strategia social.

Le fasi di una strategia social

Una strategia social efficace segue quattro fasi di sviluppo.

La fase più importante è la prima, la fase di pianificazione, nella quale si identificano gli obiettivi che vogliamo raggiungere e il target di riferimento. Questo ci permetterà di capire come rappresentare il nostro business al meglio e in che modo farlo, passando a:

  • Definire il canale di comunicazione. È importante capire che non tutti i canali si adattano al nostro business;
  • Definire il formato dei contenuti che possa meglio adattarsi al tipo di messaggio che vogliamo trasmettere, scegliendo tra video, foto, immagini, infografiche, testimonial, ecc.;
  • Definire il tono della comunicazione, più o meno formale.

La fase successiva è quella della programmazione, che viene organizzata attraverso piani editoriali e calendari editoriali, nei primi si definisce la strategia, nei secondi la si programma applicandola concretamente lungo un arco temporale.

Si passa poi alla fase della creazione, in cui vengono realizzati concretamente i contenuti e i copy, ossia i testi che andranno ad accompagnarli.

Infine c’è la fase della gestione e monitoraggio, che avviene attraverso dei tool che permettono di programmare post e monitorare l’andamento e i risultati della nostra strategia. Un esempio è Meta Business Suite, la piattaforma che da accesso alla gestione di pagine Facebook e Instagram

Quale canale di comunicazione scegliere?

  • Facebook si presta per profilare il target group e ideare campagne pubblicitarie. Attraverso l’analisi degli utenti che interagiscono, è possibile raccogliere informazioni sui tuoi potenziali clienti, studiare i loro comportamenti, scoprire le loro aspettative e necessità con lo scopo di realizzare il prodotto o il servizio che renda la tua azienda indispensabile;
  • Twitter consente di interagire con le persone in modo immediato, raccogliere feedback, intercettare bisogni, e, in alcuni casi, può rappresentare una risorsa efficace anche per fornire assistenza ai clienti in maniera rapida e immediata;
  • YouTube permette di condurre attività di video marketing, storytelling emozionali ed è particolarmente efficace per fidelizzare il pubblico;
  • Instagram consente di generare valore intorno al brand sfruttando il potenziale della comunicazione visiva e si presta per attività promozionali mirate;
  • LinkedIn è ideale per curare i contatti con i propri collaboratori, realizzare comunicazioni tra business e attività di assunzione.

Perché rivolgersi ad un’agenzia per curare la tua comunicazione?

Siamo tutti utenti delle piattaforme social che vorremmo sfruttare come vetrine del nostro business ma non tutti siamo social media marketer.

I principi della gestione di una pagina social aziendale non possono essere gli stessi del proprio profilo personale poiché le finalità sono completamente diverse: l’obiettivo della nostra pagina aziendale non è quello di rimanere in contatto con familiari ed amici ma presentare e promuovere la nostra attività.

Puoi gestire la pagina del tuo business in autonomia ma affidarsi ad un’agenzia che ha le competenze per organizzare una buona strategia di comunicazione, unita alle conoscenze degli strumenti di preparazione dei contenuti risulta la scelta migliore.

Corporate storytelling: ogni azienda ha una storia da raccontare

Per corporate storytelling si intende il racconto dell’identità, della storia, dei significati e valori dell’azienda, attraverso una narrazione efficace.

Raccontandosi, l’azienda crea una connessione, anche emotiva, con il pubblico di riferimento, mettendo in evidenza eventuali punti comuni e differenziandosi dalla concorrenza nella mente dei consumatori.

Lo storytelling aggiunge valore al brand e al prodotto, che diventano qualcosa di più.

 

Perché fare corporate storytelling?

I consumatori di oggi sono al centro di un sovraccarico di informazioni e di conseguenza sono molto più selettivi nella scelta dei contenuti, ignorando quelli che percepiscono come puramente commerciali e autoreferenziali.

Il corporate storytelling rappresenta un’alternativa basata su una comunicazione informativa e emotivamente coinvolgente: si cerca di attrarre il consumatore/ spettatore della storia, verso il contenuto e non imporlo.

L’obiettivo che lo storytelling si pone è che l’utente associ inconsciamente un determinato prodotto o servizio all’azienda stessa, diventando quasi un fan: non solo acquista il prodotto o servizio ma ne parla, condivide la sua esperienza e addirittura coinvolge altre persone influenzandole nelle scelte d’acquisto.

Si cerca di attivare nel cliente un processo di identificazione, spingendolo a ritrovare parti di sé nel racconto, per similitudine o differenza. Tutto è fatto in modo che, per mezzo della storia, il brand sia ricordato in maniera più forte e lo si scelga tra gli altri perché in esso si nutre stima e fiducia.

 

Impostare una strategia di storytelling

Per impostare una strategia di storytelling è importante partire dalla definizione dell’identità aziendale recuperando le informazioni storiche e il percorso del brand, raccontandolo in un arco temporale preciso e strutturando una narrazione dal forte impatto persuasivo, ponendo giusta enfasi ai dettagli che la rendono autentica.

Se l’azienda è nata da poco la narrazione può utilizzare i valori che hanno fatto da base alla costruzione o si può partire dai prodotti e servizi offerti, dalle intuizioni o idee creative.

Per creare un corporate storytelling si può rispondere a domande come: Cosa ha portato alla nascita dell’azienda? Cosa produce/offre? In che situazioni o condizione si utilizzano i prodotti o servizi che si offrono? Qual è il processo di realizzazione e distribuzione del prodotto/servizio? Raccontando poi l’azienda come luogo di lavoro e la sua responsabilità sociale d’impresa, ovvero dell’impegno in temi e questioni sociali o ambientali.

Bisogna tenere a mente che uno storytelling d’impresa deve:

  • Essere autentico, accattivante, creativo, condividendo valori, mission, vision del brand nella maniera più chiara e diretta possibile;
  • Poggiare le basi per una relazione di fiducia tra l’azienda e il target;

La struttura narrativa dello storytelling fa si che si adatti sia a contenuti testuali che visivi, bisogna solo valutare il canale più idoneo a trasmettere il tipo di messaggio che si vuole veicolare; I social media, ad esempio, sono un ottimo mezzo grazie al quale possiamo raccontare anche piccoli aspetti quotidiani di un’azienda che vanno ad aggiungersi al racconto unitario.

Perché investire in un sito web per la tua attività

Anche nel caso di piccole aziende o attività che non vendono direttamente online, oggi avere un sito web è fondamentale.

Il web, infatti, è diventato il primo spazio di approdo quando cerchiamo un nuovo prodotto o servizio di cui abbiamo bisogno.

 

La struttura

Il sito web è uno spazio completamente personalizzabile, dal layout alle grafiche e contenuti.

Nel layout la parola chiave è personalizzazione. È consigliabile però prediligere grafiche pulite e chiare che non confondano l’utente.

Per quanto riguarda i contenuti, i principali da inserire nel sito sono le informazioni chiave come il tipo di attività, i prodotti e servizi offerti, i contatti (l’indirizzo, il numero di telefono, l’email) che danno vita alle pagine standard del sito quali la home, chi siamo, cosa facciamo, contatti.

Anche in questo caso è consigliato inserire testi semplici e in linea con il tipo di attività e immagini e video di impatto visivo.

Alcune estensioni che si possono aggiungere al sito web di un’attività sono:

  • Indirizzi ai social media;
  • Live chat che permettono un contatto diretto durante la navigazione;
  • Recensioni e testimonianze dei clienti;
  • Blog, attraverso il quale approfondire tematiche o comunicare novità riguardanti l’attività;
  • Call to action attraverso le quali invitare l’utente, che può essere arrivato sul nostro sito tramite social media, motori di ricerca, link esterni, marketing offline, a compiere un’azione come quella di chiedere maggior informazioni, magari attraverso dei form. Si tratta di un’ottima strategia per allacciare nuove relazioni.

Il sito web è una vera e propria vetrina che darà una prima impressione sull’attività. Sarà quindi necessario che questo sia curato, chiaro e ben organizzato, rispondendo a criteri di:

  • Usabilità, offrendo una user experience fluida. Questo significa che dovrà essere facilmente utilizzabile in tutte le sue funzioni, con percorsi di navigazione semplici e lineari e contenuti leggibili;
  • Responsiveness, rispondere correttamente e velocemente agli input, adattandosi alla visualizzazione attraverso vari device (desktop, tablet, smartphone).

La mancanza di questi criteri potrebbe portare l’utente ad uscire dal sito e passare velocemente a quello successivo.

 

La SEO

Avere il monopolio su un argomento nel web è ormai impossibile e questo significa che il sito compete con tantissimi altri presenti in rete. Per riuscire ad emergere la SEO è fondamentale.

La SEO è quell’insieme di attività svolte sul sito che hanno l’obiettivo di ottimizzare il posizionamento sui motori di ricerca.

I motori di ricerca analizzano costantemente il contenuto di tutti i siti web e stabiliscono dei criteri di qualità come la velocità del sito, il link url, tag, page title, alt text e le parole chiave, che andranno poi a determinare il posizionamento.

La SEO quindi si occupa proprio di:

  • Inserire le corrette parole chiave nelle pagine e nei contenuti;
  • Rendere le pagine mobile friendly;
  • Velocizzare il tempo di caricamento delle pagine;
  • Creare correttamente il codice;
  • Ideare corrette url;
  • Gestire i backlink;
  • Gestire correttamente i link interni.

 

Normative dei siti web

Ci sono diverse normative da rispettare in materia di siti web aziendali.

Le ditte individuali e le società di persone (S.n.c., S.a.s. e Società semplice) devono indicare nella homepage la partita IVA e i dati d’iscrizione REA.

Le S.p.a e S.r.l sono tenute a specificare:

  • Partita IVA;
  • Codice Fiscale;
  • Indirizzo completo della sede legale;
  • Ragione Sociale;
  • Ufficio del registro presso cui la società è iscritta e numero di iscrizione;
  • Numero REA (ovvero codice del Repertorio Economico Amministrativo);
  • Capitale sociale;
  • Stato di liquidazione della società.

I proprietari di e-commerce sono obbligati a specificare i termini e le condizioni di vendita.

Tutte le aziende, in qualsiasi forma giuridica, sono tenute poi a inserire nel proprio sito web l’informativa sulla privacy nella quale indicare quali dati verranno raccolti, come saranno raccolti e utilizzati e chi sarà il responsabile della loro custodia.

Nei casi in cui il sito utilizzi cookie per tracciare la navigazione dell’utente in rete e creare profili sui suoi gusti, abitudini e scelte o, ancora, se un sito aziendale utilizza Google Analytics senza che la raccolta dati sia resa anonima, c’è l’obbligo di inserire un banner contenente una prima informativa circa la richiesta di consenso all’uso dei cookie e un link per accedere a un’informativa più estesa.

 

Il mantenimento del sito web

Il lavoro su un sito web di un’attività non è una tantum, il sito dovrà essere monitorato per assicurare l’effettivo funzionamento, il rendimento, e andrà aggiornato con nuovi contenuti che lo renderanno sempre interessante agli occhi degli utenti e dei motori di ricerca stessi.

 

WordPress bloccato in modalità manutenzione: come risolvere?

WordPress entra in modalità manutenzione durante gli aggiornamenti di software, temi e plugin, questo per evitare che eventuali interazioni con il sistema possano creare problemi.

La procedura di aggiornamento di WordPress avviene in quattro fasi:

  1. Attivazione della modalità di manutenzione;
  2. Scaricamento dei file di aggiornamento;
  3. Applicazione degli aggiornamenti;
  4. Disattivazione della modalità di manutenzione, dopo la quale il sito torna attivo.

Può succedere però che durante l’aggiornamento, magari per errore, si ricarichi la pagina e WordPress rimanga bloccato costantemente in manutenzione. In questo caso è probabile che l’aggiornamento non sia andato a buon fine. Per ripristinare la situazione è necessario intervenire manualmente.

 

La procedura di sblocco

Bisogna accedere ai files del sito tramite FTP o pannello di controllo, da li individuare il file .maintenance e cancellarlo.

Se il file non è visibile – come succede, ad esempio, nel caso in cui si utilizza il File Manager di cPanel – si dovrà accedere alle impostazioni del File Manager e attivare la visualizzazione dei file nascosti.
A questo punto, WordPress torna a funzionare.

Delle volte, però, può succedere che un aggiornamento non andato a buon fine causi malfunzionamenti e problemi di visualizzazione del sito. Per individuare il problema e risolverlo si può far affidamento al debug di WordPress, senza dover ricorrere a strumenti esterni o plugin.

Il debug si attiva direttamente nel file di configurazione di WordPress wp.config.php.

Scorrendo il file di configurazione si arriva all’opzione WP_DEBUG, di default impostato su false. Per attivarlo cambiamo l’opzione su true:

define(‘WP_DEBUG’, true);

A questo punto tutti gli errori, avvertimenti e notifiche di rilievo vengono scritti nelle pagine del sito in cui si manifestano indicando dove intervenire per risolverli.

Risolto il problema bisogna ricordare di disattivare il debug nel file di configurazione di WordPress.

 

Come mettere temporaneamente in manutenzione WordPress

Se, invece, si ha la necessità di far risultare il sito in manutenzione si può procedere istallando un plugin. Ne esistono diversi tra i quali scegliere, la lista completa si trova nella repository dei plugin di WordPress.

 

Modalità di manutenzione personalizzata

Se si vuole personalizzare la finestra di manutenzione di WordPress basta creare un file maintenance.php dentro la cartella wp-content di WordPress con aspetti e contenuti che si preferiscono. In questo modo la modalità di manutenzione di WordPress assumerà l’aspetto desiderato durante ogni aggiornamento.

WooCommerce, Magento, PrestaShop o Shopify? Quale CMS scegliere per il proprio e-commerce?

Quando si vuole avviare un e-commerce è importante scegliere il giusto CMS (Content Management System) perché da questo dipenderanno molti aspetti futuri che hanno impatto sui costi aziendali e sulla complessità dei processi di gestione e manutenzione.

I CMS più utilizzati ad oggi per la creazione di e-commerce sono:

  • WooCommerce;
  • Magento;
  • PrestaShop;
  • Shopify.

Vediamoli nello specifico.

WooCommerce

È un plugin, gratuito, che permette di aggiungere le funzioni base di e-commerce ad un sito web WordPress. Questo integra perfettamente il commercio elettronico con i contenuti del sito, raccogliendo tutto in un unico contenitore.

Il sistema può essere arricchito attraverso estensioni, ne esistono sia di gratuite che a pagamento, che si adattano alla natura dei prodotti che vengono venduti e alla strategia di marketing che si vuole utilizzare.

La diffusione di questo CMS è data dalla semplicità di configurazione e gestione ma bisogna far attenzione a non sovraccaricare il sito di plugin perché si rischia di renderlo lento e poco usabile.

WordPress collabora continuamente con Google per offrire una piattaforma SEO Friendly, il plugin WooCommerce assicura molte possibilità di migliorare il posizionamento del sito sui motori di ricerca e un facile adattamento agli aggiornamenti del browser.

Magento

È uno dei CMS più completi. Si tratta di una piattaforma open source, quindi il codice con cui è costruito il software è pubblico e modificabile, rendendolo estremamente personalizzabile e adattabile a qualsiasi progetto. La possibilità di configurare ogni aspetto lo rende un sistema complesso che richiede competenze di sviluppatori professionisti.

Essendo una piattaforma flessibile e scalabile, che da cioè la possibilità di ridimensionare lo shop e implementare diverse funzioni, è particolarmente indicata per progetti di medie e grandi dimensioni.

Magento è integrabile con altri software gestionali presenti in azienda e permette di organizzare in maniera avanzata il catalogo, l’evasione degli ordini e i pagamenti in diversi negozi contemporaneamente, fornendo dati approfonditi.

Un’altra caratteristica è il suo supporto alla vendita multicanale, dal proprio e-commerce alle piattaforme di social media e i mercati online (come Amazon e Ebay).

Fornisce infine una gamma di strumenti di marketing e assistenza clienti come l’email marketing, l’ottimizzazione dei motori di ricerca e l’analisi dei clienti.

PrestaShop

Si pone a metà tra la facilità di WooCommerce e la completezza di Magento, è una piattaforma gratuita disponibile con licenza open software, scaricabile dal sito ufficiale, rapida e di facile configurazione e gestione.

Anche PrestaShop è un sistema modulare che permette di implementare funzioni aggiuntive in seguito, ideale per e-commerce di piccole e medie imprese.

Shopify

Si tratta di una piattaforma SaaS, software as a service, che mette a disposizione una grande quantità di strumenti per costruire e gestire uno shop online, insieme a centinaia di modelli tra cui scegliere, già pronti per essere personalizzati con loghi, testi, immagini e video. Questo la rende adatta anche ad utenti senza particolari competenze nella programmazione.

Non richiede l’installazione di software su un proprio server, basterà creare un account, scegliere tra i piani di abbonamento mensili, che differenziano per numero di funzionalità e percentuali sulle vendite, e si potrà iniziare a configurare e a gestire il proprio negozio online.

I vantaggi dell’adottare una piattaforma SaaS, a differenza di una piattaforma software da scaricare e istallare su un server proprietario, riguardano la manutenzione e i costi: la tariffa del piano è fissa e comprende interventi di manutenzione e aggiornamenti per risolvere eventuali bug e problemi di sicurezza.

Aspetti da tenere in considerazione

Nella scelta del CMS più adatto al tuo e-commerce bisognerà tenere in considerazione:

  • Il tipo di prodotto che si vuole vendere e in che quantità;
  • Qual è il budget per la realizzazione e manutenzione;
  • Quali competenze informatiche sono a disposizione dell’azienda.

In questo modo ci si potrà orientare verso la soluzione più adatta, valutando la necessità di affidarsi ad un professionista in grado di fornire il supporto tecnico necessario sia nella fase di creazione che di gestione.